Salvatore Francesco Romano «La poetica dell’ermetismo» (1942)

Recensione a Salvatore Francesco Romano, La poetica dell’ermetismo (Firenze, Sansoni, 1942), «Primato», a. III, n. 14, Roma, luglio 1942, p. 267.

Salvatore Francesco Romano «La poetica dell’ermetismo»

La polemica sull’ermetismo ha ormai perso il primitivo carattere di discussione sulla poesia in generale ed ha dato luogo invece a considerazioni storiche, allo studio di un preciso momento della storia letteraria contemporanea. Prova di questa storicizzazione della questione è anche il presente volumetto di S.F. Romano La poetica dell’ermetismo (Firenze, Sansoni), che vorrebbe appunto mettere in rilievo le origini e i motivi di questa maniera poetica fuori di una esaltazione o di una negazione appassionata della maniera stessa. A parte i saggi in appendice, il libro mira ad una organicità che noi avremmo voluto anche piú stretta, perfino schematica come disegno storico. O altrimenti avremmo desiderato una precisazione maggiore dell’atteggiamento del critico, che finisce per rivendicare una possibilità prevista dal poeta di comunione con i lettori («nessuna poetica può riuscire, per quanto si industri, a toglier via come un pregiudizio l’atto di fede nella universale comunione degli spiriti, che in noi suscita anche la piú gravida ed ineffabile parola della poesia») e a prender dunque posizione contro l’ermetismo come poesia oscura, mentre poi sembra altra volta giustificare l’oscurità in un piano di aristocrazia eterna e altra volta dare al nome un significato storico di periodo limitato nel tempo, che in Italia potremmo dire postdannunziano. (E D’Annunzio, su cui in appendice troviamo un saggio, se è fuori del cerchio ermetico per la sua poesia non oscura e per una ricerca di musica sensuale piú che di canto, non ha pure dei legami con la poesia piú moderna? Vorremmo insomma che venissero precisati i limiti di una poetica postromantica e poi quelli di una poetica che si ricollega per esemplificare essenzialmente piú a Rimbaud che a Verlaine).

Ma il Romano ha pure nella parte piú impegnativa del suo lavoro un disegno evolutivo della poesia ermetica (e lo spunto ammesso è nei libri polemici del Flora: Civiltà del ’900 e Poesia ermetica) che trova le sue origini nel connubio Rimbaud-Mallarmé e nella falsificazione successiva operata dai critici che avrebbero isolato oscurità ed automatismo come qualità essenziali di quei poeti e le avrebbero offerte cosí allo studio e all’imitazione della poesia piú moderna. «In realtà questo della poesia ermetica contemporanea potrebbe essere da un tal punto di vista il piú significativo capitolo di una storia della mistificazione letteraria e critica cui sono stati oggetto nell’età che li seguí i maestri del simbolismo». Padri incorrotti di corrotti figli dunque (ed altri potrebbero ripetere a ritroso questo procedimento per Baudelaire), ma a noi sembra che il Tasso visto come l’aurora del sole mariniano non fosse un semplice errore critico, quanto l’utile riconoscimento per noi di una tendenza poetica che si sviluppa precisa e nuova nell’atteggiamento secentistico. Si tolga perciò l’aspetto paradossale della tesi e si riconosca semmai una collaborazione importantissima della critica alla poetica contemporanea e una sua adesione esplicita, ma inevitabilmente congeniale ad una tendenza del gusto poetico. In tal senso lo studio assume un carattere positivo, arriva alla precisazione delle origini e dello sviluppo di un linguaggio poetico cui un linguaggio critico ha contribuito risentendo a sua volta l’influenza del primo (e qui si ripresenta il problema di tendenze europee della poetica e precisazioni nazionali del linguaggio che pure si arricchisce di modi e di atteggiamenti trasportati dalle varie tradizioni). In tal senso una ricerca delle chiose a Rimbaud-Mallarmé diventa utile e aiuta indubbiamente a capire sia la moda sia l’humus culturale dei veri poeti (Montale, Ungaretti e Quasimodo, cui il Romano dedica tre saggi diretti tra l’altro a dichiararli non oscuri pur costituendo i testi realizzati della poesia ermetica), ma anche sarà bene precisare che nessuna moda che resti tale è piú meritevole di un’altra e che dunque gli oscuri, per moda, non saranno peggiori dei pascoliani, dei dannunziani ecc. (anzi per valore contingente indubbiamente superiori e nel pieno di un rigoglio poetico ancora attivo e pieno di possibilità).

Il compito dello storico sarà dunque, determinato senza diagnosi patologiche il piano su cui una civiltà poetica produce, ricercare i singoli valori veramente realizzati. Ciò che porterebbe ad un approfondimento non solo dei tre poeti studiati da Romano, ma anche degli altri con quella cura che il Croce stesso insegnò a proposito dei suoi contemporanei nella Letteratura della nuova Italia. Il Romano appoggia il suo disegno principale ad altre indagini non prive di interesse. Se si cerca cosí una giustificazione filosofica a posteriori della nuova poesia, contemporanea alla generazione piú giovane e piú strettamente ermetica, il Romano ci indica il passaggio dall’antitesi crociana poesia-non poesia ad una ricerca di conoscenza non univoca dell’arte che trova dichiarazioni e spiegazioni in Banfi, attuazioni critiche in Anceschi, programmi in Bo: «irrazionalismo estetico per noi invero speculativamente assai povero, sia rispetto al bergsonismo sia anche rispetto alle istante positive che sono contenute nell’aspirazione all’assoluta esteticità dell’analogismo e dell’ermetismo poetico», ma che secondo noi è da vedersi anche in relazione al complesso tormento del pensiero e delle aspirazioni filosofiche contemporanee.

Se si vuole un appoggio critico alle posizioni estetiche della letteratura cui indubbiamente è piú legata la nostra poesia moderna, quella francese, il Romano, oltre ad un articolo sulla poesia di Valéry, ci offre un lucido saggio sulla Introduction à la poésie française in cui il Maulnier afferma che il nuovo concetto della poesia oppone al vecchio razionalismo «un riconoscimento del segreto inafferrabile dell’operazione poetica e della difficoltà inerente all’esercizio proprio di essa». Poesia difficile dunque nella sua intrinseca natura, momento ermetico della poesia che verrebbe per il Maulnier a combinarsi con l’automatismo dell’inconscio del surrealismo: motivo che viene certo ad assumere una grande importanza in tutto il lavoro dello stesso Romano.

Ci auguriamo che queste ricerche parziali ma stimolanti siano invito ad uno studio completo e veramente storico, fuori delle polemiche e delle tendenze, sulla nostra poesia contemporanea e sulla civiltà letteraria postsimbolistica nelle sue premesse culturali e nei suoi risultati personali.